sabato 27 gennaio 2018

Programma

Innovation Week 2018

Liceo Pascoli Bolzano

Seminario di "scrittura scenica" a cura di Andrea Oradini e Nazario Zambaldi

Lunedì 25 gennaio: tra presentazione e rappresentazione, mente e spazio (azione)
Martedì 26 gennaio: tra presentazione e rappresentazione, mente e tempo (narrazione)
Giovedì 28 gennaio: dalla caverna alla luce come visione
Venerdì 29 gennaio: tra le parole e le cose, immagini

Louis Daguerre, Parigi, 1838

Biblografia:
Vittorio Lingiardi, Mindscapes. Psiche nel paesaggio. Raffaello Cortina, Milano, 2017.
Oliver Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, 11 ed., Adelphi, Milano, 2008.
Peppe Dell'Acqua, Non ho l'arma che ha ucciso il leone. La vera storia del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni. Alpha&Beta, Bolzano, 2014.
Platone, Il mito della caverna, Repubblica
Andrej Tarkowskij, Luce Istantanea, Meridiana, Firenze, 2002.
Nazario Zambaldi, Pedagogia come architettura, Turris Babel, 2014.
Lorenzo Mango, La scrittura scenica. Un codice e le sue pratiche nel teatro del Novecento, Bulzoni, Roma, 2003.

venerdì 26 gennaio 2018

Tra presentazione e rappresentazione: mente e spazio (azione)

Il seminario di apre sulla distinzione tra "presentazione" e "rappresentazione" come domanda aperta. Tale domanda aperta viene proposta come spazio della PRESENZA. Cosa significa essere presente? Il banco che tocco, la sedia, la matita, il foglio, li sto toccando o penso di toccarli? Li sto toccando "ora", o penso di toccarli ora... in questo spazio della mediazione (o della realtà) si propone la rappresentazione, geometrica, analitica... in particolare nel canale visivo entro una cornice, che può diventare scena.
Come nel gioco del "CUCU'" dell'infanzia con le mani davanti agli occhi che si aprono allo sguardo e alla sorpresa, si apre il sipario, si accendono i proiettori nel buio...
A partire dai testi di Sacks e Dell'Acqua si propone la soggettività della percezione a partire dai racconti in ambito neurologico e psichiatrico.



1. Su un foglio bianco si segnano cinque punti.
Immaginazione libera a partire dai punti sul foglio, suggestioni.

2. Nella seconda aula senza banchi esercizio a occhi chiusi.
Si immagina lo spazio dell'aula, quindi cinque punti.
A un segnale sempre a occhi chiusi ci si sposta insieme da un punto all'altro.
Si aprono gli occhi e si commenta.


3. Tornando nell'aula con i banchi, rappresentazione semplice a partire dal foglio bianco come limite dello spazio di movimento, aula, cornice.
A gruppi si rappresentano sul foglio quindi si provano nella seconda aula azioni e interazioni corporee.

4. Presentazione finale "partiture" sceniche.




giovedì 25 gennaio 2018

Tra presentazione e rappresentazione: mente e tempo (narrazione)

Come già illustrato brevemente nel primo incontro, la scrittura scenica considera importante il testo quanto un oggetto, un gesto, una relazione corporea sulla scena. Questa valorizzazione degli altri aspetti oltre al testo - la testa - assume particolare valore a scuola ove la stessa dominanza cognitivista pur superata dalla ricerca psicopedagogica resiste in un set che ancora riproduce modelli ottocenteschi di passività e controllo.
A partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, con le neoavanguardie, "la scrittura scenica", diventa elemento centrale rispetto al ruolo guida del testo letterario che viene considerato estraneo alla consistenza scenica del linguaggio. In questa prospettiva la "scrittura scenica" viene praticata dai grandi registi e teorici del primo Novecento e dagli uomini di teatro del secondo Novecento i quali, con diverse strategie culturali e in differenti momenti storici, hanno dimostrato di avere la comune volontà di ricercare un nuovo approccio nei confronti degli elementi che compongono lo spettacolo. Nel Dizionario del teatro di Patrice Pavis la scrittura scenica è cosi definita:

"La scrittura (o arte ) scenica consiste nel modo di utilizzare l'apparato scenico per mettere in scena in immagini concrete – i personaggi, il luogo e l'azione che vi si svolge. Tale “scrittura” non ha nulla in comune con la scrittura del testo: essa indica, metaforicamente, la pratica della messa in scena, che dispone di strumenti materiali e tecniche specifiche per trasmettere un significato allo spettatore". 



Risulta evidente, dunque, che essa sottende una "intenzione" del linguaggio scenico, un modo di indirizzarlo in una direzione precisa e pensarlo secondo una certa articolazione.
Il termine "scrittura scenica" é stato introdotto nel lessico teatrale da Roger Planchon nel 1961. Il regista francese equipara la scrittura della scena a quella del dramma e addirittura anche a quella del romanzo, sostenendo che la scena è un testo a se stante che presuppone per la sua realizzazione una scrittura con una sua logica interna, una sua grammatica, una sua forma, una sua intenzione.
Per Planchon un movimento, una scenografia, la scelta di un colore, hanno un valore creativo analogo a quello del testo drammatico nel delineare il senso complessivo dell'opera teatrale.

Si può dunque parlare di scrittura scenica quando, nella costruzione del dramma, i codici scenici intervengono in maniera autonoma e in prima persona trasformandosi da elementi illustrativi in elementi costitutivi dello stesso, quando l'azione teatrale si sposta dalla pagina alla scena e ciò che accade materialmente sul palcoscenico non é l'illustrazione di quanto é prescritto nel testo drammatico, ma è azione essa stessa, primaria e autoreferenziale, processo operativo e creativo diretto. Praticare la scrittura scenica vuol dire dare dignità e valore di significato a tutte le componenti dell'evento teatrale quali spazio, suono, parole, musica, gesto, movimento, oggetti, affrancandole dalla funzione di essere semplici illustrazioni o traduzioni di un testo (da Il teatro materiale nella drammaturgia di Samuel Beckett di Alessia De Martino).



Il TEMPO, come lo SPAZIO il primo giorno, focalizza l'attività: si sottolinea la nostra interpretazione del tempo, come spaziale, lineare. Si evidenzia come il movimento sia reale e si accenna, lasciando anche qui aperta la questione, al tempo come misurazione di movimenti relativi...
Si distingue il movimento del braccio, ad esempio, ed un filmato del movimento dello stesso braccio. Il braccio quando non è nella posizione iniziale e finale dove si trova?
Secondo la nostra interpretazione "cinematografica" della realtà, nei vari istanti...
Dopo un accenno agli argomenti paradossali di Zenone - della freccia e della gara tra Achille e la tartaruga - ove la freccia non arriva mai a destinazione e Achille non raggiungerà mai la tartaruga, data la divisibilità infinita dello spazio, si evidenzia l'apparenza percettiva del movimento nel cinema (come l'astrattezza del pensiero matematico).


Consegna della mattinata è la scrittura, ambientazione ed eventuale realizzazione in video di una narrazione (fatta di oggetti, luci, azioni, vuoto...), timeline, montaggio.









martedì 23 gennaio 2018

Dalla caverna alla luce come visione

Da una suggestione opposta a quella del MOVIMENTO-IMMAGINE l'incontro successivo si apre con la prima foto in cui appare una figura umana, "scattata" - si fa per dire - da Daguerre nel 1838. Il tempo di esposizione ridotto dalle otto ore ai 10-15 minuti fa si che la caotica Parigi appaia comunque deserta per la velocità degli accadimenti, tranne che per un tale che si fa pulire le scarpe (e meno "riconoscibile" il lustrascarpe all'opera).
Con questa metaforica comparsa del soggetto, come ombra nel tempo di posa del dagherrotipo, grazie all'esposizione alla luce, si recupera il mito della caverna di Platone, come simbolica liberazione dalle catene della mente.
La luce nel mito dello schiavo che si libera e esce dalla caverna, può con Platone rappresentare il Bene fino ad alzare lo sguardo al sole, ma è anche un dispositivo che rappresenta bene il funzionamento "proiettivo" della mente, trovando al tempo stesso analogie con la "camera oscura" fotografica, o, ancor più nella camera ottica o nel cinema: gli schiavi incatenati vedendo le immagini delle ombre proiettate sulla parete della caverna pensano sia essa la realtà...


L'arte viene introdotta qui come il luogo di esercizio di questo sguardo de-condizionato: esercizio di creatività, cambio di prospettiva. A questo proposito si propongono alcune opere di Duchamp, l'orinatoio, lo scolabottiglie... e si esemplifica come sia lo sguardo che crea l'interesse, l'accostamento, il contesto.  


La consegna della mattinata è ritrarre composizioni, "paesaggi", uscendo dall'esercizio ripetitivo del modello da copiare e della "natura morta".










lunedì 22 gennaio 2018

Tra le parole e le cose, immagini

L'ultimo incontro si apre con alcuni riferimenti filmografici (un po' come il giorno prima con Matrix), in particolare al regista Andrej Tarkowskij e al suo rapporto con il tempo. Tra i riferimenti si propone la raccolta di Polaroid scattate dal regista in Italia e raccolte nell'edizione "Luce Istantanea". Andrea Oradini ha portato una Polaroid che diviene un modo di riflettere sulla macchina e il suo rapporto con il linguaggio.



Subentrano argomenti collegati alla psicologia della percezione, memoria, oblio, attenzione.

Domande sulla realtà percettiva dei colori...




"Luce istantanea" è un libro fotografico, basato su scatti effettuati da Andrej Tarkovskij con una polaroid. Scie esistenziali, echi di una vita immersa nella natura, ritratti, interni di abitazioni, cimiteri, vasi e fiori, luoghi apparentemente sconosciuti, volti. L’indagine dell’autore di Solaris è intima ed onirica. Molte situazioni richiamano alla mente del fruitore le sequenze di film come L’infanzia di Ivan, Lo specchio e Sacrificio. La presenza del cane, figura metaforica tipica di tutto il suo cinema, le ombre e la nebbia, una luce giallastra diffusa e molto calda. La sostanza del suo universo creativo è tutto racchiuso nelle oltre sessanta fotografie che compongono il racconto visivo di questo volume.


In Luce istantanea è testimoniato anche il lungo e commovente rapporto che Tarkovskij ebbe con l’Italia, paese nel quale visse dopo il suo distacco dall’Unione Sovietica.

Le polaroid realizzate nell’antichissima “piscina” situata al centro di Bagno Vignoni, meraviglioso borgo medievale in provincia di Siena, fanno tornare in mente uno dei brani più intensi di tutto il suo percorso filmico, brano contenuto inNostalghia e girato utilizzando lentissime e delicate carrellate laterali.






























































 




Programma

Innovation Week 2018 Liceo Pascoli Bolzano Seminario di "scrittura scenica" a cura di Andrea Oradini e Nazario Zambaldi Lu...