martedì 23 gennaio 2018

Dalla caverna alla luce come visione

Da una suggestione opposta a quella del MOVIMENTO-IMMAGINE l'incontro successivo si apre con la prima foto in cui appare una figura umana, "scattata" - si fa per dire - da Daguerre nel 1838. Il tempo di esposizione ridotto dalle otto ore ai 10-15 minuti fa si che la caotica Parigi appaia comunque deserta per la velocità degli accadimenti, tranne che per un tale che si fa pulire le scarpe (e meno "riconoscibile" il lustrascarpe all'opera).
Con questa metaforica comparsa del soggetto, come ombra nel tempo di posa del dagherrotipo, grazie all'esposizione alla luce, si recupera il mito della caverna di Platone, come simbolica liberazione dalle catene della mente.
La luce nel mito dello schiavo che si libera e esce dalla caverna, può con Platone rappresentare il Bene fino ad alzare lo sguardo al sole, ma è anche un dispositivo che rappresenta bene il funzionamento "proiettivo" della mente, trovando al tempo stesso analogie con la "camera oscura" fotografica, o, ancor più nella camera ottica o nel cinema: gli schiavi incatenati vedendo le immagini delle ombre proiettate sulla parete della caverna pensano sia essa la realtà...


L'arte viene introdotta qui come il luogo di esercizio di questo sguardo de-condizionato: esercizio di creatività, cambio di prospettiva. A questo proposito si propongono alcune opere di Duchamp, l'orinatoio, lo scolabottiglie... e si esemplifica come sia lo sguardo che crea l'interesse, l'accostamento, il contesto.  


La consegna della mattinata è ritrarre composizioni, "paesaggi", uscendo dall'esercizio ripetitivo del modello da copiare e della "natura morta".










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